Angelo Manitta
saggio critico-bibliografico
di Claudia Manuela Turco,
con note di approfondimento
di Marco Baiotto e Marilena Rodica Chiretu
Angelo Manitta è nato il 3 Febbraio del 1955 a Castiglione di Sicilia e si è laureato in Lettere presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi sull’opera pirandelliana Il fu Mattia Pascal. Insegna nelle Scuole Medie Superiori e collabora con molti giornali. La sua attività letteraria gli è valsa parecchi riconoscimenti, ma la sua fama è notevolmente accresciuta dall’anno 2000, ovvero da quando ha fondato l’Accademia Internazionale Il Convivio e l’omonima rivista, dando ulteriore lustro alla piccola città di Castiglione di Sicilia. Notevole la mole di pubblicazioni, che spaziano in modo variegato per interessi, estensioni e generi, dal microtesto giornalistico allo studio storico più complesso, rivelando abilità filologiche e di traduttore non comuni.
A Catania nel 1981 è stata edita la silloge poetica giovanile Fragmenta, ricca di frammenti quotidiani e propensioni verso la dimensione sovrannaturale ed eterna, mentre nel 1990 è uscito il saggio La Basilica S. Maria della Catena e S. Giacomo Apostolo in Castiglione di Sicilia.[1]
Nella rosa delle pubblicazioni fa seguito il saggio Verzella e le sue contrade.[2] L’autore sostiene che “anche una campagna può avere una sua storia”.[3] Egli conferma che, al di là del fatto che si tratti per lui del luogo che gli ha dato i natali, anche un posto sperduto qualsiasi e considerato soltanto una piccola frazione, ha una sua storia meritevole di considerazione e da cui poter attingere per il presente come da una copiosa fonte. Manitta dimostra sempre particolare sensibilità per le realtà e i personaggi “minori”, umili. Del resto, a sostegno di questa tendenza, basti pensare all’esempio fornito, nell’ambito della Storia dell’Arte Moderna, dalle opere di Jacopo Bassano, artista relegato a poche righe in molti manuali, perché a lungo considerato “minore”, ma che negli ultimi anni ha riscosso l’interesse della critica.
Importante per la comunità locale pure la pubblicazione del Compendio di tutte le cose memorabili della Città di Castiglione di Giuseppe Luigi Sardo, avvenuta grazie al paziente lavoro di ricerca condotto da Manitta. Inoltre, egli ha speso molte energie in approfonditi studi di storia locale anche affinché sia data “più voce al dialetto siciliano”.[4]
Nel 1994 viene pubblicata la Lettera ad Orazio[5] (in realtà è una lettera-saggio).
La carriera di insegnante e l’impegno letterario in questo periodo sono affiancati dall’attività politica. Angelo Manitta è vicepresidente (in qualità di esponente del Movimento Democratico Popolare) del Consiglio Comunale di Castiglione di Sicilia. Nel mese di settembre, però, è costretto dalle circostanze a dimettersi.[6]
Nel 1995 esce la silloge poetica Donne in punta di piedi,[7] opera che, come ricordava Luigi Rolando su «La Nuova Tribuna Letteraria», l’autore inviava gratuitamente a chiunque ne avesse fatto richiesta e che fu segnalata nell’ambito del Premio “Venilia”.[8] In questa raccolta Manitta ha dedicato le sue poesie a dodici figure femminili emblematiche: Saffo, Cleopatra, Khadigia, la contadina Ermentrude, Giovanna d’Arco, Lucrezia Borgia, Madame Curie, Anna Frank, Marilyn Monroe (“il gesto / inconsueto riduce in nulla / o in frammenti un’intera esistenza, / benché il chiaro whisky e gli allucinogeni / potenzino le qualità. Ma non servono / le lacrime finte quando la scena / s’è conclusa ed è calato il sipario”), Antígona Pérez (Cerco / un fratello che dorme, forse, / o esala l’ultimo respiro / o, morto, giace insepolto / su sabbiose scogliere, dove gabbiani / voraci affossano gli artigli / e l’onda del mare ricopre / i sandali slacciati.”), Madre Teresa di Calcutta, una madre di Sarajevo (“È un acerbo tormento il figlio / appeso alla ringhiera, sudicia / di smog, per la rivoluzione combattuta / contro luridi fantasmi zoppicanti. / È un crudele addio palpare / le mani penzolanti per seppellirle / nell’alcova e sapere che il grano / dopo giorni di marciume germoglia / quasi Cristo risorto.”). La dimensione eroica, la forza d’animo e il coraggio accomunano donne famose e ignote. Le “donne in punta di piedi”, anche se spesso ancora sottomesse, continuano a muovere il mondo, come hanno sempre fatto. Nei versi manittiani con realismo efficace vengono colti il loro gesti quotidiani, emblemi di vita vera, veramente vissuta e colta in profondità.
Gisella Padovani, dell’Università degli Studi di Catania, annota nella prefazione:[9] “La teoria delle figure femminili celebrate dalle liriche di Angelo Manitta si sgrana lungo un filo ideale che dalle plaghe fascinose di un passato storico perduto in lontananze ancestrali conduce ad una dimensione di concreta e bruciante attualità.
Coniata su modelli letterari antichi e recenti o evocata sotto la diretta suggestione della cronaca contemporanea, deputata a rappresentare le ragioni immediate del cuore o voluttuosamente impegnata nell’avventura dei sensi, la donna è, comunque, protagonista assoluta di questo pregevole canzoniere che la esalta e la sublima in contesti situazionali e ambientali di forte rimbalzo drammatico.” … “Artista ispirata o serena incantatrice, vergine virago o angelo del focolare, studiosa appassionata o vedette del palcoscenico, la donna vagheggiata nei versi di Manitta è in ogni caso nobilitata dalla sacralità di un ruolo che la isola su un piano di assolutezza emblematica, consentendole di sottrarsi alla “insignificanza storica” denunciata, a incipit del volume, nell’epigrafe siglata da una scrittrice coraggiosamente impegnata sul fronte delle battaglie femministe, Simone de Beauvoir.
E può anche accadere che l’unica possibilità di sfuggire alle aggressioni del mondo esterno e al devastante fluire del tempo sia offerta dalla morte, che per alcune delle eroine che avanzano “in punta di piedi”, in eterea e armoniosa successione, sulle pagine di Angelo Manitta, si configura come strumento privilegiato con cui approdare all’individuazione di una prospettiva liberatoria.” … “La raccolta, governata da una struttura compositiva rigorosamente metrica, include dodici componimenti, ognuno dei quali consta di dieci quartine (ad eccezione del primo, che ne contiene quindici).
Fedele al proposito di chiarezza, leggibilità, “capacità di incidere”, teorizzato nelle Riflessioni sulla poesia in appendice ai testi, l’autore nelle sue liriche forgia un dettato limpido, raffinato, di classica compostezza, che pur inclinando alla narratività si attesta costantemente su un registro stilistico alto e tocca la levità del poème en prose di marca francese.
Evitando contorsionismi sintattici e imprevedibili metamorfosi semantiche, il Manitta punta con decisione sul discorso “in chiaro”, e adegua la “parola” e le sue combinazioni all’assenza dinamica della realtà, in aperta opposizione alle abdicazioni nichilistiche e alle sterili declinazioni narcisistiche che dilagano in molte zone della poesia italiana contemporanea.”
La silloge è stata illustrata da Luciano Costanzo. L’ideatrice del Contattismo, Clelia Rol, ha analizzato il testo fornendoci forse la recensione più appassionata: “La breve silloge di Angelo Manitta, edita da “Il Faro” di Riposto, è un inno alla donna, vista sotto variegati aspetti: con spirito di abnegazione e dedizione, con civetteria, con coraggio e forza d’animo, con fascino e seduzione, con dolore e rabbia, con perversione e libidine, con spirito di rassegnazione, con ingegno e talento, con drammatizzazione, con sentimento ed amore.
La donna è sempre, e comunque, la protagonista, l’interprete di un’eterna tragedia, quale appare la vita al poeta, autore di questo prezioso volumetto, dal quale si evince ciò, anche dalla scelta dei personaggi che animano la raccolta.
Note pessimistiche affiorano, facendo vibrare l’animo del lettore, partecipe delle toccanti vicende. Poesia profonda e penetrante, che coinvolge ed appassiona. Il verso è libero e sciolto in quartine, ben delineate ed armoniche. La poesia è, decisamente, da contatto.
La maturità e la vera vena poetica, portano il poeta a liberarsi, totalmente, dall’Io Protagonista, interpretando il mondo che lo circonda, da abile spettatore.
Nel suo caso l’oggettivismo è rappresentato dalla donna – archetipo di sensibilità, passionalità, altruismo – capace di accendere le pagine di questo componimento lirico, con i colori della speranza, dell’amore e – perché no – della purezza nella fede.”[10]
Poco dopo la poesia manittiana Chiusa monade viene inserita in un’antologia curata da Stefano Valentini[11]:
“Il luccichio dell’acqua, che fluisce
al chiarore notturno, percuote
le mie pupille mentre cammino sulle pietre
viscide accanto a fiori muti
e sento nel fango il calarsi
dei suoi piedi stanchi. Io e lei,
chiusa monade silenziosa,
attendiamo uniti il bagliore
delle ultime luci (come la madre,
in ansia, aspetta il figlio,
scrutando il fruscio del vento
che sembra il suo alito stanco)
o il cane che abbaia lungo la strada
(l’hanno forse scosso i suoi passi veloci)
o il calpestio, suoi basoli consumati,
che s’avvicina o s’allontana (è lui,
non è lui). Ma poi ogni rumore tace.”
Riportiamo qui di seguito la nota critica relativa a tale poesia: “Pur riscontrando in molte sue liriche un evidente debito verso l’opera di Borges e, per restare in Italia, del nostro Giuseppe Conte, dobbiamo rimarcare la facilità con cui Manitta raggiunge esiti interessantissimi e sicuri, densi d’emozioni e sentimenti universali, ma espressi sfuggendo alle insidie di qualsiasi convenzionalità. Notevolissima la capacità evocativa di atmosfere e suggestioni che lambiscono il sovrannaturale, nel contempo portando in evidenza elementi di paesaggio il cui significato trascende – almeno d’un poco – quello che siamo abituati a riconoscere.”
Poco tempo dopo, in un’altra antologia curata da Stefano Valentini, viene pubblicata la lirica manittiana Filosofemi:[12]
“Filosofemi di profumi appassiti
in segreto. Tetti, case,
strade in grigio riflessi
in calici di magnolie. Aria,
luce e vento (impalpabili
fantasmi d’una notte di San Lorenzo)
spandono desideri su trasfiguranti
macerie. La lotta intima
sobilla alte volontà
di conquista. Bellezze inesistenti
s’inerpicano a bambini sfuggenti
che cancellano orme di tumide
onde. I rintocchi delle campane
richiamano alla realtà. I volti
muschiati tentennano voci
di grifi. Le parole si mutano
in suoni. Le tacite foglie
dei pini riversano fiumi
di rugiada e cedono sensi
autunnali ad un Etna ventoso.”
Nella relativa nota così viene valutata la lirica: “L’autore, non di rado impegnato in raffigurazioni allegoriche di figure mitiche o esplicitamente mitologiche, qui preferisce riservare la propria attenzione al paesaggio dell’isola: ne ricava, con la consueta maestria stilistica, una rappresentazione potente e originale, trasfigurata ma concreta, d’un ambiente che di per se stesso evoca un mondo fantastico. È labile il confine tra il dato immaginifico e quello naturale, né potrebbe essere altrimenti in una Sicilia che è luogo d’incrocio e confine dei quattro elementi: la terra e l’acqua, ovviamente, ma anche l’aria del vento e il fuoco del vulcano.”
Proseguendo la nostra carrellata, ci imbattiamo nel saggio Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano,[13] edito nel 1996, nel quale Manitta ricostruisce tutte le vicende legate al santuario della Patrona di Castiglione, risalendo alle origini del culto e soffermandosi sul simbolo della catena inserito nella tradizione biblica e sulla sua diffusione negli Stati Uniti, in Australia e in Sud America, ove sono emigrati molti castiglionesi che continuano a mantenere saldi i legami con la terra d’origine.[14] La storia urbana si intreccia a quella della devozione. Anche ai giorni nostri questo santuario è meta di molti pellegrinaggi dalla Valle dell’Alcantara. L’autore si è a lungo documentato, coadiuvato da don Salvatore Treffiletti. Vengono via via seguite le varie fasi di costruzione e trasformazione della chiesa. Manitta si sofferma pure sulle opere d’arte scomparse. Davvero interessante il capitolo dedicato alla Madonna della Catena nella poesia dei Castiglionesi.[15]
L’atmosfera è quella del “mese dei fiori”, maggio, ed è festa: “È primavera. Il freddo, la neve e la pioggia sono ormai un ricordo, le giornate splendide e assolate, invece, un evento quotidiano. Gli alberi, come gli arbusti, si sono già ricoperti di foglie, che tremolano al soffio della leggera brezza di tramontana, mentre i prati rinverditi offrono agli armenti abbondanti pascoli.
“È maggio. Le viti allungano visibilmente i loro tralci, i grappoli fioriscono, le larve si schiudono al tiepido calore, gli insetti ripopolano le campagne, quando gli uccelli precoci, allegri per l’inverno andato via, raccolgono paglia e piumini per ricreare con imperitura fantasia i loro nidi sugli alberi, tra i rovi, tra le insenature di rupi scoscese o sui tetti delle case. Tutto ci dà una pacata sensazione d’allegrezza e di gioia.
“Qua e là negli orti o nelle villette le rose, create quasi da ignota mano divina, emanano un odore soave, allietando con i loro variopinti fiori la vista dei pellegrini, che a piedi vanno verso il Paese. In fondo, proprio in fondo, una rosa, bianca come la neve, ci dà un senso di caducità e di fragilità, richiamando alla nostra mente la spensieratezza e la felicità dei bambini.”[16]
Poi Manitta si sofferma sul fiore come simbolo mariano.[17] Come appena dimostrato, il testo si apre continuamente in squarci lirici, rendendo davvero gradevole la lettura anche per un lettore non direttamente interessato all’argomento.
Nel 1997 è stata pubblicata l’opera di narrativa per la Scuola Media Come una favola,[18] la quale è composta da “Dialoghi e racconti ecologici”. Vittorio Frosini, docente all’Università “La Sapienza” di Roma, ne ha curato la prefazione in forma di lettera, epistola con cui si rivolge allo stesso Angelo Manitta: “Molti anni or sono, quando insegnavo ed abitavo con la mia famigliola nella città di Catania, andavo con moglie e figlioli a prendere quella boccata d’aria a Verzella, dove ci conoscemmo e stringemmo amicizia.
“La lettura delle tue graziose favole mi ha risospinto nel tempo della memoria al luogo di quei nostri incontri, quando tu avevi l’età del piccolo Andrea, l’ascoltatore dei racconti del Nonno” … “Quello che maggiormente ho apprezzato nelle tue favole, è proprio il paesaggio tecnologico, in cui sono collocati questi personaggi: essi sono usciti da quell’ambiente tipicamente fiabesco, e perciò tradizionale ma anche convenzionale e che appare ormai falso, in cui si muovevano i loro predecessori: il finto mondo naturale, da essi abitato, veniva manipolato, adulterato e sottomesso dalle forze magiche, che operavano metamorfosi e prodigi di vario genere. Nei racconti del Nonno è presente, invece di una forza misteriosa e sovrumana, la violenza generata dalla realtà in cui ci troviamo a vivere, e che produce l’inquinamento della terra, delle acque e del cielo. Delle favole antiche resta il sorridente ricordo, adombrato da alcune figurine; ma l’immaginario dei piccoli lettori viene stimolato e guidato da freschi motivi e da esempi nuovi, dei quali essi hanno fatto e ricevuto personale esperienza.” … “Una caratteristica eminente dell’epoca nostra è data appunto dall’insorgere della nuova «coscienza ecologica», che era ignota alle età precedenti e che ha generato iniziative legislative e movimenti politici di grande importanza nel mondo attuale. Sono lieto che tu abbia pensato di suscitare i primi barlumi di tale coscienza negli alunni della prima scolarità, in un libro attraente ed integrato da opportune indicazioni didattiche”.[19]
L’autore si sofferma, in queste quattordici favole, sui più complessi problemi che affliggono la società contemporanea, quali i rapporti familiari, la droga, il razzismo, la solitudine, la mafia. Il testo, nel catalogo scolastico delle Edizioni Greco del 1997, veniva consigliato per la I e la II media: “Per avvicinare di più il ragazzo al racconto, il testo è stato corredato da disegni e schede di riflessione, adatte, queste, più ad un dibattito da svolgere in classe che come compiti per casa.” Pure quest’opera manittiana ottenne molti articoli e recensioni.[20]
A testimonianza della continua attenzione di Manitta per le tematiche legate all’ecologia e del costante impegno profuso nel tentativo di trasmettere ai giovani i valori ambientali, va ricordato che, nell’ambito del Premio Antonio Filoteo Omodei – Giulio Filoteo di Amadeo, esistono una sezione dedicata alla poesia inedita sul tema “l’Uomo, l’Ambiente e i Parchi” e una sezione dedicata a poesie, componimenti in prosa e disegni dei ragazzi delle scuole primarie e secondarie sul medesimo tema.
Come una favola e le opere seguenti di narrativa per ragazzi: Dei, eroi e isole perdute (2001), Dame, paladini e cavalieri (2003), A partire da Boccaccio... (2005, coautore Giuseppe Manitta), hanno riscosso un successo notevole, ottenendo sia il plauso degli studenti, sia degli altri docenti. Angelo Manitta riconosce la preponderanza dei suoi interessi per il romanzesco e per miti e leggende, sentendosi particolarmente a suo agio trasmettendo ai giovani esperienze di vita attraverso storie che divertano ma facciano riflettere, passando dalle vicende avventurose e coraggiose a quelle amorose.
Nel 1997 a Randazzo viene editato il saggio manittiano Castiglione di Sicilia dai beni culturali ai beni ambientali e l’anno seguente a Giarre il catalogo Profili d’artisti: Nunzio Trazzera.
Nel 1998 viene edita la silloge poetica La ragazza di Mizpa,[21] una delle opere più difficili dell’autore. La prefazione è di Graziella Granà, mentre i disegni che la illustrano sono di Nunzio Trazzera, pittore e scultore sempre più legato alle crescenti attività del “Convivio”. La silloge ha riscosso un notevole successo, ottenendo parecchie recensioni e articoli e venendo segnalata nell’ambito del Premio “Venilia”, organizzato dalla nota omonima casa editrice di Montemerlo (Padova).[22]
La ragazza di Mizpa è sicuramente la raccolta poetica più raffinata e colta di Manitta, eppure l’autore non si abbandona mai a velleità narcisistiche. L’umano e l’eterno ancora si mescolano, ancora vita e morte si fondono e dividono per rifondersi; brevi poesie racchiudono sfuggenti significati, polisemie che invitano a una lettura paziente e insaziabile.
Su «La Nuova Tribuna Letteraria» Silvano Demarchi, riguardo a questa produzione manittiana, osserva: “Siciliano di Catania, non poteva non cantare l’Etna che sovrasta gli abitanti con la cima nevosa e l’aspra salita: «La strada / è un calvario di duri macigni / e il bosco, occhi / di avidi lupi…». Come si vede, frequente è il passaggio dalla realtà alla favola, dalla descrizione realistica o naturalistica alla elaborazione fantastica, colorata fiabescamente nei suoi riposti significati. Il titolo dell’opera riprende quello di una poesia che riguarda un fatto biblico: il sacrificio di una ragazza come ringraziamento per la vittoria ottenuta sui nemici, simile, in senso inverso, a quello di Ifigenia sacrificata come auspicio alla buona riuscita della spedizione di guerra. Angelo Manitta, autore di diversi saggi oltre che di raccolte di poesia, dimostra con questa sua ultima opera di aver raggiunto un suo stile, denso di parole scelte, ricco di vivide immagini tratte da una natura lussureggiante, ritmato da un verso scorrevole e talora incalzante nella sua essenzialità e sobrietà espressiva.”[23]
In questa silloge poetica compare il mito di Aci e Galatea, tanto caro all’autore e ricorrente nei suoi libri più diversi. Al riguardo, e in un contesto più ampio, così osserva Pinella Musmeci: “Il potere, la brutale passione di possesso e di dominio, è la legge che guida l’uomo nella folle corsa della vita. Nei potenti è grande e smisurata, nel quotidiano, nell’uomo di strada assume toni più modesti e di minore respiro, ma la logica che percorre i pensieri e le azioni è uguale nel grande come nel piccolo ed uguale è la valenza delle passioni. Così la rabbia amorosa di Polifemo per il possesso di Galatea, atterra il pastorello Aci e, nel mondo delle favole, si susseguono tante eroine sacrificate all’invidia ed all’egoismo: “Prezzemolina dalle lunghe trecce” per un desiderio smodato della madre, “La Bella e la Bestia” per la cupidigia di ricchezze delle cattive sorelle e per la negligenza del padre.”[24]
Ancora nel 1998, Manitta pubblica il saggio Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo,[25] distribuito in sette capitoli e in circa una sessantina di pagine, ove l’autore “non trascura le versioni più recenti di interpretazione sulla non più certa assolutezza del pessimismo leopardiano”.[26] Tale pubblicazione coincide con le celebrazioni per il bicentenario della nascita del poeta recanatese. Come osserva Elio Picardi: “Dalla disamina sulla personalità dell’artista marchigiano nasce un limpido resoconto letterario, minuzioso e profondo, pertinente ed efficace. Notevoli sono i paralleli tra il Leopardi ed altri importanti rappresentanti del panorama poetico di tutti i tempi.”[27]
L’opera, una delle più importanti dell’autore, suscita subito interesse e parecchi giornali e riviste, anche non strettamente culturali, le dedicano articoli e recensioni.[28]
Pur ammettendo che la tesi di fondo non è originale, poiché altri prima di lui (per esempio Umberto Bosco) hanno sostenuto lo stesso assunto, mentre De Sanctis sosteneva che “Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone”, come osserva Carmelo Musumarra “sono molti gli argomenti di critica leopardiana che trovano luogo nell’aureo libretto di Angelo Manitta, e sono svolti tutti con acume e solidità di cultura specifica. Talvolta una sola parola suggerisce tutto un discorso critico. Così accade anche leggendo il suddetto saggio, ricco di impegno culturale e di severo stampo scientifico.”[29]
Non si deve pensare che questo libro non fosse necessario, data la mole eccessiva delle pubblicazioni già esistenti su Giacomo Leopardi. Infatti, Stefano Valentini ha scritto: “Aggiungere altre pagine alla sterminata bibliografia sul poeta di Recanati? Può sembrare un semplice atto di deferenza e omaggio, dovuto alla ricorrenza del bicentenario, oppure una velleità presuntuosa e destinata a ripetere il già detto e il già fatto. E invece no: questo libro di Angelo Manitta si legge talmente volentieri da apparire necessario, scritto com’è con rigore espositivo ma anche con capacità divulgativa e stile elegante. E sceglie un tema che ci sta a cuore, perché anche noi abbiamo dubitato spesso dell’effettivo pessimismo leopardiano: troppa è la capacità di cogliere gli aspetti dolci della vita, anche nel giro di pochissimi versi, per assolutizzare le visioni negative d’alcuni suoi canti.”[30]
Ed Enza Conti ben riassume: “Il saggio, come si deduce dal titolo, vede nel pessimismo leopardiano non la conseguenza degli acciacchi fisici del poeta, ma l’influenza della letteratura e della filosofia, tanto che il suo pessimismo spesso diventa libresco e di maniera. Leopardi non è altro, quindi, che un anello, secondo l’autore del saggio, della lunga catena del pessimismo europeo-occidentale che parte dagli antichi popoli mesopotamici, i sumeri in particolare, e attraverso la civiltà classifica, la religione ebraica prima e cristiana poi, giunge all’esistenzialismo contemporaneo.”[31]
Rileggiamo Leopardi attraverso gli occhi di Manitta: “Il pessimismo del Leopardi si presenta perciò non come esistenziale, ma filosofico, e di questo egli ha pienamente coscienza. Infatti nel 1832 scrive allo studioso svizzero De Sinner che, essendo condotto dalla sue ricerche ad una filosofia «esasperante», egli non ha esitato ad abbracciarla per intero. E attacca: «Non è stato altro che per effetto della vigliaccheria degli uomini che… si è voluto considerare le mie opinioni filosofiche come il risultato delle mie sofferenze personali e che ci si è ostinati ad attribuire alle mie circostanze materiali ciò che non si deve che al mio pensiero. Prima di morire io voglio protestare contro questa invenzione della debolezza e della volgarità e pregare i miei lettori a voler distruggere le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che darne la causa ai miei malanni.»”[32]… “La posizione del Leopardi nei confronti del suo pessimismo mi sembra molto chiara, anche perché afferma che nella realtà «noi preferiamo il vivere al non vivere e lo preferiamo col fatto non meno che con l’intenzione», anche se ammette che l’uomo «non può essere privo della perfezione della sua esistenza, e quindi della sua felicità, senza patire e senza infelicità.» Il pessimismo viene quindi superato dialetticamente dall’interno. La sua «filosofia negativa» è solo di superficie. In fondo egli è «ottimista di cuore», secondo l’espressione del Gentile, perché crede «nello spirito e nel valore dei suoi ideali».”[33]… “Il pessimismo di Leopardi quindi è un pessimismo puramente virtuale, e se a volte ama commiserare se stesso, in alcuni passi dello Zibaldone egli sembra più un attore che un filosofo. Recita il suo male e il suo dolore, volendo esprimere il dolore del mondo, di tutti gli esseri umani, perché è innegabile che ogni essere umano prova dolore misto alla gioia. Le riflessioni del Leopardi, mi sia consentito un paragone, sono simili al mondo della celluloide o alla virtuosità del computer che ci presentano una realtà falsa, immaginata e ricostruita, ma esibita come vera. Nei film l’attore muore o viene ferito solo virtualmente, il sangue non scorre realmente. La violenza non è vera. È invece la nostra mente che la crede vera e il regista ce la fa credere tale. Ma in effetti si tratta di una violenza, di una morte, di un sangue puramente virtuali. Allo stesso modo Leopardi non è un vero pessimista, pessimista è la sua arte, che è tutt’altra cosa che la sua esperienza vitale e personale.”[34]
Silvana Andrenacci puntualizza:[35] “Lo studioso ritiene che il pessimismo non può sostituire interamente l’ottimismo che vive in ogni uomo! Se così fosse – il genere umano si estinguerebbe in poco tempo, giudicando, inoltre, quello del Poeta “un sistema forse mutuato da altri”.
Leopardi era consapevole di aver dato motivo ai critici di attribuire le disposizioni dell’animo ai suoi stessi malanni, dichiarando pessimista soltanto la propria Arte.
In età giovanile, dopo aver letto il Werther di Goethe (in seguito Le ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo), nel suo cuore crebbe la tristezza, sapendo vedere e giudicare la propria persona, conscio di essere ignorato dalle donne che amava o che avrebbe amato… Però bastava una lettera affettuosa di un amico per riprendere con slancio la vita culturale, fonte di grandi gioie e speranze, coltivando la propria salute con estrema cura. Si può arguire che il suicidio fu e restò desiderio teorico.”[36]
Inoltre, Anna Maria Ferrero valuta l’opera manittiana in questione con le seguenti osservazioni:[37] “Non si tratta di un nuovo saggio originale e rivoluzionario, annuncia l’autore, anche se a nostro avviso lo è, bensì di una indagine sulla universalità della poesia del Leopardi, un tentativo, e aggiungiamo perfettamente riuscito, di fare emergere la giusta dimensione del pessimismo leopardiano, pessimismo letterario e filosofico più che individualistico ed esistenziale.”[38] … “La prosa del Manitta è, ad un tempo, colta e fluidamente scorrevole, è densa di concetti e, ad un tempo, semplice e chiara. L’autore, ad esempio, senza pedanteria, spiega ogni volta il significato dei termini meno conosciuti poiché inusuali.”
Notevole l’illustrazione in copertina: olio su tela di Giuseppe Manitta, figlio di Angelo. Benchè giovanissimo, il pittore ha saputo creare un’atmosfera che sa d’“infinito” leopardiano, sa di sofferenza, e sa di speranza.”[39]
Il 21 dicembre 2000 avviene la svolta decisiva: grazie all’iniziativa di Angelo Manitta, viene fondata l’Accademia Internazionale “Il Convivio”, di cui si possono ripercorrere le varie tappe e attività in corso sul relativo sito Internet (www.il-convivio.com ), dove è possibile consultare anche la versione elettronica dell’omonima rivista cartacea. Il numero degli associati e delle riviste partner su scala internazionale è in continuo aumento. L’Accademia deve il suo nome all’omonima opera dantesca, ai cui principi si è voluto ispirare il fondatore Angelo Manitta: gli artisti, diversamente dall’uomo comune, riescono a staccarsi dalla realtà e a comunicare con il divino esplorando i labirinti del pensiero. Il logo dell’Accademia è composto da una C mezza luna che domina il cielo, ovvero un cerchio composto da nove tratti-stelle raffiguranti le nove Muse e racchiudenti una stella-simbolo della luce interiore dell’uomo. I membri del “Convivio” banchettano a una mensa ideale, ove cibarsi di conoscenza.
Il trimestrale attualmente consta di 96 pagine ed è abbondantemente illustrato da immagini in bianco e nero e a colori. Le immagini che adornano le copertine recano la firma di artisti noti, come Nunzio Trazzera. Tra i collaboratori spiccano nomi di rilievo come Giorgio Barberi Squarotti, Carmelo Aliberti, Vittoriano Esposito, Fulvio Castellani. Vi sono collaboratori di Redazione anche all’estero e vengono pubblicati molti pezzi in lingue straniere e talvolta in greco e latino. Inoltre, grazie ai rappresentanti delegati, l’Accademia gestisce riviste e siti telematici. Sulla rivista si alternano nomi famosi e di sconosciuti in un clima di reciproco rispetto e arricchimento.
In pochi anni, tra le riviste che si occupano di Poesia Arte e Cultura, “Il Convivio” è riuscito a occupare un posto di primo piano.
Tra i concorsi organizzati dall’Accademia va ricordato il Premio Internazionale “Poesia, Prosa e Arti Figurative”, altrimenti detto Premio “Il Convivio”. Solitamente presidente onorario della giuria è Giorgio Bàrberi Squarotti. Tra gli altri concorsi internazionali organizzati dall’Accademia compaiono il Premio Teatrale “Angelo Musco”, il Premio “Fra Urbano della Motta” (Premio “Natale”), il Premio “Publio Virgilio Marone” e il Premio d’Arte Figurativa “Filippo Juvara”. Il numero dei partecipanti è in continuo incremento.
Proseguendo con la panoramica delle pubblicazioni, al mese di febbraio del 2001 risale l’edizione del Comune di Castiglione di Sicilia del saggio di Angelo Manitta Antonio Filoteo Omodei e Giulio Filoteo di Amadeo scrittori siciliani del Cinquecento.[40] L’opera è corposa (consta di ben 256 pagine), la tipologia di ricerca alquanto complessa; l’autore ha dovuto districarsi nel labirinto della selva d’errori lasciati dietro di sé da molti eminenti studiosi precedenti. Come riconosciuto dall’allora sindaco ingegner Concetto Bellia nella presentazione dell’opera, Angelo Manitta, studioso castiglionese, ha consentito di identificare correttamente due dei più importanti scrittori di Castiglione di Sicilia, togliendoli dall’oblio e dall’incertezza: lo storico Antonio Filoteo Omodei e il romanziere Giulio Filoteo di Amadeo[41], infatti, prima dei puntuali studi manittiani, si pensava fossero un solo scrittore.[42]
La notabile et famosa historia di Angelina Loria, romanzo cavalleresco di Giulio Filoteo, composto da più di duemila pagine in cui si narra la popolare leggenda del Delfino di Francia innamorato di Angelina, figlia di Ruggero, barone di Castiglione, è uscita dalla forma frammentaria per ritornare alla luce in una veste completa grazie ai pazienti studi di Manitta. Come osserva Enza Conti, “La lettura del romanzo di Giulio Filoteo di Amadeo oggi ci permette di poter immaginare la bellissima Angelina che passeggia tra le stanze del castello di Castiglione.”[43]
Anche le opere Topografia dell’Etna e Descrizione della Sicilia di Antonio Filoteo (ma il saggista si sofferma pure sulle opere minori) ovviamente suscitano l’interesse non soltanto degli storici, bensì anche quella dei concittadini curiosi di sapere di più del passato della propria terra e delle proprie radici.
Nel mese di aprile 2001, invece, viene pubblicata la lirica Orizzonte, inclusa nella silloge La ragazza di Mizpa, sulla rivista brasiliana «Literatura» (“Revista do Escritor Brasileiro”) con la relativa traduzione di Nilto Maciel; viene confermata la passione botanica di Manitta:
“I funghi crescono oltre la siepe,[44]
cuscino d’astragali sull’orlo
dell’abisso, dove mani s’intrecciano
in uragani di campi
diafani e voli di libellule,
sospese nel vuoto, trapassano
aerei crinali. L’orizzonte
è teatro d’infinite
forme. Ma nessuno conosce
i destini degli uomini o i mistici
volti dei prati cosparsi
di anemoni e orchidee,
margherite e miosotidi, iris
e viole, tulipani e verbene,
che ci attendono lassù, proprio lassù,
sulla cima del colle.”[45]
Nel 2001, uscita l’opera manittiana di narrativa per ragazzi Dei, eroi e isole perdute,[46] sulla sua importanza per il mondo della scuola, in relazione a un incontro che ha avuto luogo a Gaggi, Enza Conti ha scritto: “Giornata all’insegna del dibattito culturale alla scuola media ed elementare di Gaggi. Partendo dall’analisi del testo “Dei, eroi ed isole perdute”, e approfittando della presenza dell’autore il prof. Angelo Manitta, gli alunni con numerose domande hanno avuto modo di approfondire alcuni antichi miti della Sicilia, nonché della Valle dell’Alcantara. Sarà stato per il modo diverso di affrontare i fatti che hanno influito sulla cultura dell’isola, senza il supporto di un testo scritto, certo è che gli alunni hanno mostrato grande interesse all’incontro dibattito soffermandosi soprattutto sul mito di Ulisse e Polifemo, nella memoria e nella “storia” della Valle dell’Alcantara in quanto il grande vulcano, rappresentato dal gigante Polifemo, la domina. E se l’interesse degli alunni della scuola elementare si è soffermato sulle vicende fantastiche, i ragazzi della scuola media hanno invece spinto il relatore a soffermarsi sulle motivazioni che hanno indotto l’autore a scrivere il racconto e sulle tecniche di scrittura. Tale curiosità è scaturita, hanno affermato gli alunni, dall’esigenza di voler confrontarsi con le altre scuole del territorio attraverso la stesura di racconti.
Durante l’incontro organizzato dalla prof. Angela Vecchio, i ragazzi si sono anche interessati del mito di Aci e Galatea, ancora oggi attuale perché ben rispecchia i sentimenti degli adolescenti.”[47]
Dei, eroi e isole perdute include miti dell’antico Medio Oriente, miti greci, i miti di Ulisse, di Roma e di Enea, miti dell’adolescenza, dell’amore e dell’Oltretomba. L’opera è stata illustrata da Angela Micheletti. Nel 2001 Domenico Defelice così suggeriva: “Ai docenti della Scuola dell’obbligo consigliamo di scegliere, come libro di lettura per i propri allievi del prossimo anno scolastico 2001/2002, Dei, eroi e isole perdute di Angelo Manitta.
In una prosa limpida e scorrevole, che attrae e invoglia, Manitta rivisita tutto il fascinoso mondo della Mitologia, dimostrando che si può comprendere e meglio apprezzare il mondo moderno, supertecnologico, se si conosce il passato coi suoi eroismi, la sua immensa voglia di conquiste e d’avventure, con molta più lealtà tra i contendenti di quanto non ce ne sia oggi. E poiché la nostra Terra – per fortuna ancora splendida – s’è fatta un pochino stretta, la sete d’ignoto del passato dovrebbe esserci stimolo per esplorazioni nel campo scientifico o conquiste spaziali; così, i moderni e futuri astronauti potrebbero eguagliare e superare i Giasone e gli Ulisse della Mitologia. Il riaccostarsi a questi racconti deve servire a riscoprire le “favole belle” – scrive Manitta nella Presentazione – “nate in mondi lontani nel tempo, ma ancora capaci di offrire messaggi di grande attualità. L’uomo, oggi come allora, ama, odia, spera, cerca, progetta, sfida; sente il bisogno di conoscere mondi nuovi”. Manitta “assegna ampi spazi anche al gioco, alla ricerca, all’uso del vocabolario, agli approfondimenti e tutto ciò fa di Dei, eroi e isole perdute un libro attivo e reattivo, capace non solo di acculturare e invogliare alla lettura (e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, stando all’ultimo posto in Europa), ma di stimolare al coraggio nella vita e al desiderio della conquista, perché gli uomini, secondo quanto ha affermato Dante per bocca di Ulisse, non sono stati fatti “a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza”. Manitta, allora, ci invita alla creazione dei miti del nostro tempo, dei nuovi miti (e non solo …Internet!) e allora la musica e il “canto” della Terra e delle Stelle saranno più fascinosi di quelli delle antiche e mitologiche Sirene.”[48]
A Catania nel 2001 esce l’antologia dell’Accademia Internazionale Il Convivio, curata da Angelo Manitta, Teorema d’immagini. Oramai sono svariati i volumi antologici pubblicati a seguito di concorsi banditi dall’Accademia.
Nell’aprile del 2002 l’associazione Centro studi “Universum Calabria” ha promosso il premio artistico “Disegna la tua pace”. Angelo Manitta ed Enza Conti hanno coinvolto molti bambini in questa iniziativa. Così scrisse per l’occasione Domenico Grillone: “La pace vista con gli occhi dei bambini. Nonostante le continue immagini cruente e le incessanti notizie di guerre e distruzioni che la televisione quotidianamente trasmette, loro riescono ad immaginare ed a sperare in un mondo in cui la convivenza pacifica tra esseri umani è possibile.” … “Alle parole del prof. Angelo Manitta sono seguite quelle della prof.ssa Enza Conti, appena un saluto e un omaggio all’entusiasmo dei bambini che hanno aderito spontaneamente, e in gran numero, all’invito dei maestri a partecipare al concorso. E loro non si sono fatti pregare, tanto da riuscire a mettere nei loro disegni un pezzettino del loro cuore.”[49]
Nello stesso anno la poesia Notturno di Angelo Manitta viene tradotta da Norma Suiffet e inserita in una pubblicazione di Montevideo.[50]
Inoltre, viene pubblicata la lirica manittiana Il tuo viso su «Alhucema», con traduzioni in spagnolo e in portoghese di Teresinka Pereira.[51] Riportiamo tale poesia per intero qui di seguito:
“Il tuo viso è come quello della luna che divide
il cielo a mezzanotte. La tenera pelurie
delle tue guance suscita profonde lussurie
da ganimede. E l’alito disintegra il sole
e scioglie l’oceano tra perversi pensieri
che saziano il mio spirito inquieto. Togli
i veli che coprono il tuo simulacro e offrimi
tenerezze da fanciullo che illuminano mele
di gelosia. La brezza leggera ricopre
la perversione. Il sogno si tramuta in realtà
di baci sfiorati sulle succose labbra
d’adolescente in un’intima dissoluzione finale.”
Ancora nel 2002, dopo essere stata inserita nel mese di maggio nella pubblicazione Poeti e pittori del terzo millennio di Alfredo Varriale (volume N. 10), a dicembre esce su «Le Muse» Sete di morte, poesia tratta da La ragazza di Mizpa:[52]
“Morire è il sogno di giovani
amanti, è l’incontro furtivo
avvenuto, chissà perché, tra verdi
cespugli di quercia.
Vivere è morire, è calpestare
l’erba freschissima d’una gelida
primavera, adornata dalle nuvole
che si confondono col bianco
della neve dell’Etna. Il turista,
rinato Empedocle, sazia
la sua sete di morte e d’infinito
mentre le anime e i corpi
si allacciano, vanificando i sogni
e le paure che attanagliano pensieri.
La vita si polverizza e la morte
diventa conquista.”
La stessa poesia, tradotta in inglese da Alfredo Varriale nella sua pubblicazione, è valsa a Manitta il seguente giudizio critico di Pasquale Francischetti (Cenacolo Europeo di “Poeti nella Società”): “In questa sua “sete di morte” il poeta sembra cercare giovamento dalla sua sete di solitudine. Il vivere e morire qui sono da intendersi in senso simbolico: il vivere è inteso come l’atto di accettare la vita e quindi di goderla; il morire, come un rinunciare alla bellezza che la natura ci offre; e quindi un morire spirituale, senza assaporare la vita, giorno dopo giorno. Il suo sembra un segreto soliloquio, nato nella speranza di arrivare, in qualche modo, alla rivelazione del Mistero. Poesia intensa e corposa su cui l’autore si sofferma per rendere il proprio pensiero più profondo; ma anche per lasciare al lettore un motivo per meditare sugli accadimenti della vita.”[53]
Nel mese di febbraio del 2003 la dottoressa Maria Enza Giannetto ha presentato, durante il “Lunedì letterario” promosso dalla Società giarrese di storia patria e cultura, una dettagliata relazione sull’intera produzione manittiana, così suddividendola: sillogi poetiche, studi di storia locale, saggi critici, narrativa per ragazzi. La parte conclusiva della relazione è stata incentrata sulle molteplici attività dell’Accademia Internazionale “Il Convivio”.[54]
Nello stesso anno esce l’opera manittiana di narrativa Dame, cavalieri e paladini[55] e Il Convivio affianca come partner l’associazione culturale internazionale “Universum Calabria” nell’organizzazione del Premio di poesia “Trofeo Bergamotto”. Angelo Manitta fa parte della giuria.[56]
Con Dame, cavalieri e paladini continua la produzione per ragazzi: attraverso la ricerca del Santo Graal, Tristano e Isotta, Re Artù e i Cavalieri della tavola rotonda, con la spada nella roccia e Orlando Innamorato e con la sua follia, con Ruggero e Bradamante, nel cuore medievale l’autore fa sentire ai ragazzi il pulsare di valori sempre attuali, di valori, volendo usare una felice definizione di Gabriella Sica, non antichi bensì eterni.
Nel volume N. 11 di Alfredo Varriale Poeti e pittori del terzo millennio (anno 2002 – 2003) viene inserita la lirica Luminosa primavera, anch’essa tratta dalla raccolta La ragazza di Mizpa:
“L’agave, fiorita tra i sassi
adamantini dell’Etna, accoglie
il palpitante ramarro smerigliato
da raggi di sole.
Un giorno rapito alla morte
è un giorno rapito alla vita,
luminosa primavera. Il fiore
sciolto in pioggia
di luce addolcisce l’aria
o si mescola fievole a lamenti
o bagna gli effimeri sensi
nel calice d’un giglio.
E il silenzio annulla sussurri
di erbe, di globi purpurei,
e la solitudine frantuma speranze
di flebili amori.”[57]
Tale lirica è stata tradotta e pubblicata in inglese anche stavolta da Alfredo Varriale, il quale ha voluto inserire, nel Volume N. 13 della sua opera, un’altra poesia tratta da La ragazza di Mizpa con relativa traduzione in inglese. Si tratta di Lasciami dire:
“Non odo canto d’uccelli
né onde fruscianti che sbattono
logore scogliere. Ali
piumate e scie
schiumose m’infondono sensi
d’oblio. L’acqua umile
non riflette le stelle. I boschi
non comunicano orizzonti
infiniti. Lasciami dire
cose insensate mentre navigo
tra vergini flutti. Ah! Se danzassi
su prati di perle!
Piegherei gli alberi rigidi,
scandaglierei abissi d’immagini,
addolcirei le pietre, insegnerei
agli uomini ad amare.”[58]
Tale lirica, nel medesimo volume n. 13, è valsa a Manitta il seguente giudizio critico di Pacifico Topa: “Angelo Manitta, poeta intimista e profondo, un vate ispirato da un’arte di indiscusso pregio “Lasciami dire” vuol essere una puntualizzazione delle negatività esistenti in un mondo vuoto, privo di vitalità; carenze di una realtà che dovrebbe, invece, dare gioia all’esistenza… “Non odo canto d’uccelli / né onde fruscianti che sbattono / logore scogliere…” Questo silenzio d’apertura è sintomatico, un silenzio quasi apocalittico che rispecchia uno stato d’animo, la natura stessa partecipa a questa nullità, cielo plumbeo che oscura le stelle… “i boschi / non comunicano orizzonti / infiniti”… In questa sfera di incertezza Manitta sente urgente il bisogno di sfogarsi… “Lasciami dire / cose insensate mentre navigo / tra vergini flutti..” C’è bisogno di dare sfogo alla sua infinita tristezza e la fantasia si scatena in una ipotetica danza… “su prati di perle..” fascinosa impaginazione! Non soddisfatto di questo slancio emotivo, vorrebbe vincere ostacoli, penetrare nelle profondità dell’ignoto, vorrebbe addolcire questa durezza generale, ammansendo gli animi più duri, insomma, esplode nel cuore di questo vivace poeta quell’inno dell’amore che dovrebbe essere alla base della nostra stessa esistenza. In sintesi, questo è un messaggio chiaro: solo con l’amore le cose potranno migliorare, quell’amore che è solidarietà, comprensione, rispetto reciproco.”[59]
Il 4 gennaio 2004 il sindaco del Comune di Ispica Dott. Rosario Gugliotta ha consegnato il Titolo Onorifico di “Cavaliere dell’Accademia Contea di Modica” ad Angelo Manitta.[60]
Allo stesso anno risale la pubblicazione di Castiglione di Sicilia. Un “Presepe” tra l’Etna e l’Alcantara, promossa dall’Archeoclub d’Italia e da SiciliAntica,[61] i cui testi sono di Angelo Manitta. Questa elegante e accattivante guida turistica è ampiamente illustrata con fotografie a colori ed è accompagnata da una mappa della città, che viene definita una “città animosa” (il Comune di Castiglione di Sicilia è stato “insignito di Medaglia di Bronzo al merito civile per la strage nazista perpretata il 12 agosto 1943”).[62]
Ritroviamo il castello con la leggenda di Angelina, la basilica della Madonna della Catena e tanti altri luoghi d’interesse storico-artistico già letterariamente visitati dall’autore in diversi saggi e studi. Accurate descrizioni accompagnano pure i percorsi naturalistici.
Angelo Manitta, in qualità di Presidente dell’Archeoclub di Castiglione, ha tenuto conferenze su temi come “Aci e Galatea nella Valle dell’Alcantara”,[63] organizzate dalla sezione di Francavilla di “Italia Nostra”, e, in qualità di Presidente della sede castiglionese dell’associazione “SiciliAntica”, è stato relatore di molti incontri su argomenti legati alla preistoria e alla protostoria della Valle dell’Alcantara.[64]
Manitta si è preoccupato anche di mantenere vivo il ricordo di poeti che hanno avuto un legame speciale con la Valle dell’Alcantara. Ne è un esempio il caso del “poeta-elettrauto”, scomparso da qualche anno, Antonino Di Marco. Manitta è stato relatore in incontri dedicati anche a questo autore siciliano.[65]
Nel gennaio 2004 al poeta Aristotele Cuffaro è stato dedicato un incontro nel Palazzo Bellacera di Comitini. Manitta è stato il coordinatore dell’iniziativa, alla quale ha partecipato il Direttore del Cenacolo Accademico Europeo “Poeti nella Società” Pasquale Francischetti, a testimonianza della continua ricerca da parte di Angelo Manitta di collaborazione fattiva con le altre associazioni e riviste culturali.[66]
Tra gli altri autori siciliani di cui egli si è occupato ricordiamo Placido Petino.[67] Inoltre, Manitta ha spesso coinvolto artisti provenienti dalla Valle dell’Alcantara in esposizioni di successo.[68] Tra i pittori più o meno esperti presenti, il più volte citato e noto Nunzio Trazzera espone frequentemente.
Manitta si distingue anche come fine e sensibile traduttore dal francese, dallo spagnolo e dfal portoghese. Per esempio, ha tradotto Apologia del profeta illuminato di Mario Àngel Marrodàn dallo spagnolo per l’antologia 2002 – 2003 dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (ALIAS).[69] Ha inoltre tradotto dallo spagnolo, sempre di Mario Àngel Marrodàn, la silloge di poesie Yo soy el soneto e di Otilia Jimeno Mateo la raccolta di liriche Genesis de un amanacer y el ocaso de un tiempo. Una poesia manittiana viene inserita sull’unico numero uscito della rivista culturale «Il potere di un verso» (sulla cui copertina campeggia la dedica “Al nostro Papa in Lourdes 15\08\04”). Si tratta della lirica Fosforescenti pupille, tratta dalla raccolta La ragazza di Mizpa:
“Stagioni sbocciano come
fosforescenti pupille che esalano
colori, odori, suoni.
Ma non può essere lei
a varcare la soglia di casa.
Non può il biancore d’un giglio
mischiarsi alla porpora d’una rosa.
Non può la turgida
gemma restare chiusa
sotto eterei cristalli di neve
o accettare destini di morte
o disperdere canti
nel vuoto quando infiniti fili
d’erba cullano, in acque
crespate, foglie o fiori,
api o farfalle.”[70]
Nel mese di gennaio del 2005 esce, per le scuole, A partire da Boccaccio… La novella italiana dal Duecento al Cinquecento, scritta da Angelo Manitta e da Giuseppe Manitta,[71] opera alla fine corredata da un accurato apparato di esercizi per una lettura guidata. I capitoli sono dedicati, oltre che a Boccaccio e agli altri autori inclusi, alla donna, all’adolescenza, alla famiglia, al personaggio, al comico e agli animali.
Tra le più recenti pubblicazioni di Manitta va annoverata pure Gilgamesh e l’Antipotere. Microscopium – Microscopio (da Big Bang).[72] Di Gilgamesh l’autore si è già occupato in Dei, eroi e isole perdute, trattando i miti dell’antico Medio Oriente.
Qui brani di prosa e di poesia si alternano: “E le stelle della costellazione del Microscopio si trasformarono in figure umane”…“Gilgamesh, un play boy all’antica, un modello da sfilate di moda, un manager orgoglioso della sua potenza, aveva un corpo perfetto. Gli dei-natura lo avevano reso bello, coraggioso e forte, ma col tempo era diventato arrogante, malvagio e violento.”[73]
“Grandezza finita contro grandezza infinita,
sconfinati conflitti originati da istigatori
di molecole umane per le trasformazioni sociali.
Possesso di specifiche sfere, controbilanciate
da sfere opposte, volontà contrarie.
Violenze contro violenze, possesso contro possesso
che istiga a mangiare a sazietà, a produrre
la fame dell’antipotere, la morte oppositorum.” [74]
Tra le opere che Angelo Manitta conserva ancora inedite figurano molte poesie e un romanzo per ragazzi di fantascienza, che non ha mai sottoposto alla revisione finale, malgrado esso sia stato riposto nel cassetto oramai da parecchi anni. Speriamo che Angelo possa trovare presto il tempo di occuparsi della pubblicazione almeno di qualche altra sua silloge di poesia, ma restando egli particolarmente esigente nei confronti di se stesso e generoso nei confronti degli altri, credo che più facilmente continuerà a dedicarsi in prevalenza al suo prossimo, prestando, come sempre, particolare attenzione ai più giovani, come solo un grande maestro di scuola e di vita sa fare.
Gilgamesh e l’Antipotere di Angelo Manitta
approfondimento critico di Marco Baiotto
Sorprendente l’inventiva e la fervida immaginazione creativa di Angelo Manitta.
Che l’epopea del leggendario e antichissimo re sumerico, le cui gesta narrate in numerose versioni e varie epoche hanno visto la luce nei territori dell’antica Mesopotamia (oggi Iraq) bagnata dal Tigri e dall’Eufrate, ben prima dei Veda indiani e dei poemi omerici, avessero innescato la fantasia di molti artisti e letterati tra cui il poeta Rainer Maria Rilke e Franco Battiato, fin anche, ben prima, a influenzare la Londra vittoriana con la moda “assira” o a ispirare più di un romanziere di archeofantascienza dei nostri tempi, non era certo un mistero.
Tuttavia, l’eclettico Angelo Manitta, ne ha saputo ricreare una versione parodistica, attualizzandola al contesto socio-politico attuale, dimostrando come la forza didascalica del poema, che risiede poi, tra le metafore e tramite l’enunciazione dei contrasti tra lo stadio “dissoluto” e quello “redento” del re di Uruk eroe protagonista, nell’educazione al buon governo e al buon uso del potere, sia rimasta intatta nel corso dei millenni attraversando tutta la storia della scrittura, a partire dalle celebri tavolette di argilla incise a caratteri cuneiformi (su cui il poema era vergato nella sua versione definita “Classica”), ritrovate presso Ninive, città antica sede della importantissima biblioteca di Assurbanipal.
Manitta segue piuttosto fedelmente lo sviluppo della vicenda originale narrata dal poema (sebbene alcuni personaggi come il Padre degli Dei, il drago dell’antipotere Humbaba o la città degli uomini scorpione Mashu, si trovino nominati altrove, probabilemente per differenze nelle fonti di provenienza e traduzioni, rispettivamente come Enlil, Khubaba e Shamash), ricreando, in un’interpretazione del tutto encomiabile e personale, ogni verso, e alternando le quartine poetiche con scorci prosastici d’intermezzo.
Questi ultimi assumono la funzione di collante narrativo che accelera lo sviluppo degli eventi, per poi, al loro termine, con invito sotteso, guidare l’attenzione del lettore a soffermarsi nuovamente su un punto focale della vicenda, esposto in versi (da questo “movimento cinematografico di panoramica e zoom”, forse, una delle ragioni della precisazione “Microscopium” nel titolo d’opera).
Accade così che la storia dipani le intricate gesta del re Gilgamesh, prima despota delle terre poste sotto il suo governo, padrone indiscusso dello ius primae noctis sulle fanciulle del regno, poi eroe che, redento in seguito alle epiche avventure condivise col suo, prima sfidante, poi fraterno amico Enkidu (che morirà punito dall’ira degli Dei), tenterà di alleviare le sofferenze dei suoi sudditi affrontando prima l’invincibile drago dai sette veli Khubaba, signore della foresta dei cedri, poi, insieme con Enkidu, il Toro del cielo, e infine supererà altre peripezie per giungere, tramite la vivandiera Siduri e il nocchiero Urshanabi, a incontrare Utnapishtip, per chiedergli il segreto dell’immortalità che vorrebbe donare agli abitanti anziani delle sue terre.
Gilgamesh poi, novello Argonauta alla ricerca del suo Vello d’oro, redento dalle esperienze vissute, avventurose quanto formative, e dalla perdita dell’amico, scoprirà non esistere il segreto della perenne giovinezza e, dopo essersi faticosamente guadagnato il suo “elisir di lunga vita surrogato” sotto forma di pianta ringiovanente, la perderà facendosela soffiare da un serpente e tornerà così sconsolato alla sua dimora, a mani vuote.
Regnerà ancora molti anni, benvoluto e amato dal suo popolo e, per dirla con le parole di Manitta: «Infine, stanco e vecchio, non gli rimase che incidere su una pietra le vicende memorabili della sua vita».
La visionarietà manittiana sfiora picchi d’intensità sfrenata in molti pregevoli passaggi, degni delle atmosfere delle migliori saghe fantasy-narrative di Terry Brooks: «Visioni di fate eludono occhi / annichiliti e rifusi in sguardi di erme / chimeriche, accavallate a brividi d’assoluto. / Angeli insegnano la via del perduto (…), Dio di forme appare poliedrica / utopia di cipressi intrisi a raggi / d’Assoluto, serragli d’acqua inverditi / da pozzanghere. E mostri, cavalcati da vagabondi / giovani, arroventano l’aria di venti (…)».
Entusiasmante poi per intensità espressiva, impareggiabilmente più elegante e raffinata di un verseggiare erotico catulliano o apollineriano, la serie di quartine dedicate all’opera seduttoria della dea Ishtar nei confronti di Gilgamesh: «Ruote d’oro e morfemi di rame / profumano legno di cedro. L’ombra / è cinnamomo di troni divini, di angelici sguardi / che donano dovizia di piaceri. Il corpo / si dona all’anima con pari impeto. Amore eterno di giovinezza dissoluta, / godi gli attimi fugaci concessi / in galoppate da sette leghe. Metamorfosi / in lupi o leoni sono alcove costruite / tra i canneti. Godiamo insieme della tua / virilità. Ho mangiato, ho bevuto da sola. / Mangiamo, beviamo insieme. Un ariete / ritorce i suoi colpi e annerisce castelli. / Il braciere si spegne».
Ma la visionarietà più originale e irriverente, a mo’ di un “Candido volterriano futurista” che farebbe impallidire il defunto termine di paragone, si raggiunge nei versi: «Gilgamesh, un play boy all’antica, un modello da sfilate di moda (…), toglieva i figli ai padri, violentandoli, strappava le vergini agli amanti, violentandole (…) tanto che gli uomini cominciarono a lamentarsi» o si trova nella creazione di Enkidu: «Aruru-Television, la dea della creazione, informazione distorta (…) prese allora del fango, dei raggi catodici e anodici, del ferro e del cemento, e forgiò un mostruoso gigante, su cui soffiò la vita e la forza (…), ignorava ogni regola di convivenza, ogni delicatezza sociale (…) lui che si pasceva d’erba e d’acciaio, di onde sonore e magnetiche, di raggi alfa, beta, gamma». Ed è con questi accostamenti pretestuosi che l’autore introduce con incisività la sua critica sociale al governo italiano, per poi gradatamente estendere la sua opinione a macchia d’olio sulla società in generale, le sue lotte di classe e i suoi corsi e ricorsi storici.
La parodia satirica di Manitta, però, non ha colore politico; prendiamo ad esempio i versi «Le nostre menti sono avvinte / dalla coercizione di burattinai che tengono le fila magnetiche (…) siamo vittime dei politici che fanno leggi a loro piacere ed interesse» oppure «L’uomo ha perso la sua dignità. L’egoismo / rende belve nell’animo. I proletari / si sono presi la rivincita, hanno piegato / i padroni e diventano loro stessi padroni (…)», dimostrano chiaramente quanto asserito.
La pesante critica nasce da un’onestà intellettuale che gli impedisce di tacere degli eventi scandalosi che accadono oggigiorno senza che avvenga una netta presa di coscienza della massa, in quanto quella stessa massa si trova stordita da un eccesso di informazioni drammatiche provenienti dal mondo globale per cui perde il senso della prospettiva e cade nell’apatia o, al massimo, “fa i capricci per qualche giorno”, per poi lasciarsi contenere dall’ordine costituito e dal proprio accogliente e caloroso egoismo.
Così Manitta fustiga le coscienze intorpidite con versi quali: «Non esiste Shoah / peggiore che l’umiliazione del corpo nella dissoluzione dell’anima», «Il caos è nel grembo di una madre morta, / d’un bambino avvolto in una borsa di plastica / e abbandonato», «La memoria si nullifica e si sperdono / i sentimenti. Non ordini ideali rinascono», «La malvagità non costa», «(…) tutti ribelli per ottenere / nuovi poteri», o ancora «Il tiranno ripudia e critica il morto / di fame, il grasso deride il magro» o infine «(…) potere e antipotere. / la lotta è titanica, monogamia di masse / infinite contrapposte a masse infinite / che si combattono in eterni cicli d’estinzione / per seppellire il provocatore in casse di zinco» e «Poteri occulti contrapposti ad altri poteri / occulti, logge massoniche e sette / segrete che si contrappongono al potere costituito».
Come già nell’opera antica anche Manitta risente della connotazione filosofica del testo del Gilgamesh classico; infatti l’autore non manca di sollevare interrogativi epocali, affrontati da molti nella storia del pensiero (Sant’Agostino per esempio), ossia il quesito che da sempre l’uomo si è posto in merito alla necessità dell’esistenza del male in quanto opposto del bene e da esso inscindibile («Lasciami vivere», supplica l’Antipotere drago Humbaba dinanzi all’ira di Gilgamesh, «per fare brillare il tuo positivo. Lasciami la mia libertà, sarò tuo servo»).
Ricordando quanto meritevole sia stato l’intento e il risultato pienamente raggiunto dalla presente opera, sottolineando quanto di universale può esserci insegnato volgendo lo sguardo su un capolavoro letterario nato molti e molti secoli prima di Gesù Cristo (solo attualizzandone un poco i riferimenti senza alterarne in alcun modo il messaggio), è d’obbligo chiosare alla manittiana maniera, il quale non indica al lettore soluzioni presuntuose, né quasi suggerisce un senso al Tutto, bensì enuncia-denuncia le brutture dell’umanità del suo tempo, per poi fuggire nella sua ultima, splendida, onirica visione-rifugio: «Realizzazioni umane acquisiscono sensi / divini. L’uomo polvere e fango, / l’uomo spirito e senso raggiunge / intenzioni divine. L’eternità è un sogno, / un pallido sogno di evolute menti / che fondono memorie abbronzate al sole, / scene di ziqqurat che toccano il cielo: / dèi impassibili, statue inerti, / illusioni di mortali, liquefazione d’innocenza».
E forse l’ardito gesto letterario dell’autore, in quanto a coscienza didascalica e civile, a voler dare credito alla leggenda, ne farebbe addirittura un degno discendente del consigliere del re di Uruk, lo scriba Sinleqiunnini, che per primo vergò i resoconti delle avventure di Gilgamesh, «colui che vide ogni cosa».
Sottotitolo del volumetto: (Microscopium – Microscopio (tratto da Big Bang), I Quaderni del Convivio – Castiglione di Sicilia, 2005).
approfondimento critico di Marco Baiotto
A tal punto, e così insito nell’estremo etimologico del termine qualificativo stesso (nell’interpretazione manittiana), che la contemplazione di Dio a dispetto delle cose terrene, sconfina in una visionarietà orfica che travalica i confini dei miti della tradizione cristiana da cui trae origine e fondamento, per operare una fusione panteistica con elementi e divinità naturali dal sapore dionisiaco (elfi, ondine, driadi e silfi danzano su teorie lessicali di iris, magnolie, miosotidi, verbene, anemoni, ninfee, in una sorta di estasi del dolore, ditirambo catartico).
La poesia di Manitta, nel poemetto La ragazza di Mizpa (Emmeffe Charta – Roma, 1998), è talpa vellutata e schiva, elitaria nel dettato come chi vuol interloquire solo ai suoi simili, che vive nel sotterraneo delirio degli opposti esistenziali rivoltandoli, abbattendo a colpi di ossimorici incisivi la quercia dell’indifferenza al dolore degli altri, minando alla base le radichette nervose dei luoghi comuni.
Il sacrificio della fanciulla di Mizpa, immolata dal Giudice israelitico Iefte come pegno dovuto a Dio per avergli tributato la vittoria sugli Ammoniti (Giudici 11, 30-31), scompiglia la ragione del poeta in merito al senso delle promesse e dei voti, come a dire che nella vita si fanno “a scatola chiusa”, ci si giura l’eternità senza vedere oltre il dorso delle carte, così come tragicamente espresso dalle parole di Iefte, insavio oltre ogni dire: «La persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto».
In questo interrogarsi profondo troviamo Manitta come Dante nel V canto del Paradiso: «Non prendan li mortali il voto a ciancia / siate fedeli, e a ciò far non bieci, / come Ieptè (Iefte, N.d.A ) a la sua prima mancia / cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, / che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, (Agamennone N.d.A) / onde pianse Efigènia (Ifigènia citata da Manitta in Olocausto) il suo bel volto, / e fé pianger di sé i folli e i savi / ch’udir parlar di così fatto cólto».
Infatti nell’Orizzonte manittiano «I funghi crescono oltre la siepe», di pascoliana memoria, che è anche «cuscino d’astragali sull’orlo dell’abisso» (gli astragali erano ossi, per lo più caprini e dalla forma quadrangolare simile a un dado, usati nell’antica Grecia e a Roma, per giochi e divinazioni), «dove mani s’intrecciano / in uragani di campi / diafani e voli di libellule (…) L’orizzonte / è teatro d’infinite / forme. Ma nessuno conosce / i destini degli uomini o i mistici / volti dei prati cosparsi / di anemoni e orchidee (…)», sono versi che suggeriscono le atmosfere delle Giocatrici di astragali canoviane, ombrate negli accenti.
Pare di scorgere tante mute dichiarazioni di dolore tra le righe, urla silenziose, echi di traumi forse familiari che si vogliono dire, nell’indeterminazione dei vaghi contorni, per sfuggire alla follia dell’incoscienza dell’uomo come strategia di sopravvivenza: «Muta e silenziosa / è sgusciata dalla tana, sparendo / nella torbida nebbia. Ora sente / a malapena in bocca / il sapore d’una caramella menta (…) I protagonisti / dopo lo spettacolo si sono lasciati come / in una telenovela. Il passo sicuro, / il viso truccato, gli occhi / lucidi e vitrei / riprendono quotidianità», «Lei, a sei anni, / è volata verso il puro Eliso / e i genitori invano / pregano il suo ritorno. Giace sotto una fredda lapide di basalto / e la sua anima è sparita tra soffici / angeli. Perché?».
La visione misterica si ammanta di fumi d’incenso metafisico, in vari passaggi dal vago sentore rimbaudiano: «La greve nebbia d’incenso / si dirada. Il caldo iridescente / mi toglie il respiro ed io m’estraneo / dal tempo come immobile / stilita», «All’ombra d’una statua marmorea, / quasi donna-driade sperduta / nel bosco, pronunzio il mio Confiteor», sono versi che suggeriscono sensi di colpa per il coinvolgimento nel dilemma delle «insidie con tele di ragno» mentre «Apollo e Dioniso, antinomia tra cielo / e terra, tra volontà e istinto, / tramutano le coline in orti / e assopiscono insetti / con ambrato polline».
Lo smarrimento rischia di travolgere l’anima del poeta trasfigurato, che non si capacita: «Carezzami la guancia con la mano / proprio ora che sento me stessa / un soffio fugace», ma è la metafora della pianta d’elleboro (o “rosa d’inverno”, nell’antichità considerata curativa contro la pazzia, invece oggi definita come tossica, N.d.A) a trarlo in salvo: «Raccogli rami / d’elleboro, mi sento già pronta / per spiccare il volo».
Così le «liturgie orfiche» manittiane, in cui «La fantasia, pronta a peccare / tra barlumi di auto in corsa, / annulla nel vento errabondo / rami di mandorlo / fioriti sull’abisso (…)» e in cui «La tua silhouette allora rigenera / dolci deliri», si stemperano nella riflessione che «Non può il biancore d’un giglio / mischiarsi alla porpora d’una rosa», per poi approdare alla conclusione, un po’ alla Erasmo da Rotterdam, che è solo il sogno e l’utopia, quella follia che prima si voleva evitare, benevola a volte, cinica altre, e da cui scaturiscono anche i versi di tanti poeti, a rendere sopportabile un’esistenza inconciliabile alla ragione.
È quel voler credere, o sperare, a far la differenza tra realtà e illusione cosmica.
La conclusione migliore sta nelle parole dell’autore: «Lasciami dire / cose insensate mentre navigo / tra vergini flutti. Ah! Se danzassi / su prati di perle! / Piegherei gli alberi rigidi, / scandaglierei abissi d’immagini, / addolcirei le pietre, insegnerei / agli uomini ad amare».
Poesia “matrioskale” dunque, ebbra di rimandi come cofanetti di metaforiche gioie (o, per i lettori più introspettivi, forzieri ricolmi di preziosi nella caverna di Alì Babà), che non offre risposte chiare, ricerca interiormente le chiavi di un’unificazione tra umano e divino, diffonde flussi e riflussi di passione e ragione, s’interroga sul peccato e sul dolore ed è, in sintesi, intimamente religiosa.
Coadiuvata dalle raffinate e visionarie illustrazioni dell’artista Nunzio Trazzera (che merita un plauso per la maestria dei mezzi espressivi), la raccolta lirica del poeta siciliano è solo in apparenza ermetica.
Pare un melograno che sotto la cangiante scorza celi, incastonati, rubini.
Marco Baiotto
“Gilgamesh e l’Antipotere” (I quaderni del Convivio n. 1 - 2005) è una vera epopeea, in versi ed in prosa, dei tempi moderni, del “mondo caduco, miscuglio di albe e di tramonti”, con speranze e delusioni. È la nostra vita con i suoi problemi più spinosi, perché noi stessi siamo “in balia dei venti e delle tempeste”.
In una forma originale, il racconto si presenta come un’interessante escursione del pensiero e dell’anima del poeta nel presente terreno che si apre verso gli spazi infiniti del Cielo e del Cosmo, là dove “l’uomo polvere e fango, / l’uomo spirito e senso raggiunge / intenzioni divine”.
Con un acuto spirito critico, l’autore ci presenta i problemi che tormentano la sua mente e la sua anima, nell’inedita ipostasi di mente ed anima di un presente controverso. È il problema delle “nemiche nazioni che sono diventate amiche”, dell’emigrazione vista come una nuova invasione di “barbari, nuovi / popoli vinti dalla fame”, che “calano da Nord, invadono da Est, penetrano da Sud, sbarcano da Ovest”, situazione critica nei confronti della quale “i parlamenti sono impotenti”.
La libertà stessa è vista come una fallace illusione, perché “siamo schiavi della nostra libertà, siamo prigionieri / dei potenti magnati dell’informazione. Siamo vittime / dei politici che fanno le leggi a loro piacere ed interesse”. Ed è per questo che il poeta si domanda retoricamente: “...chi ci libererà per darci pace?”.
Il problema del potere e dell’antipotere gira come la ruota della vita e l’uomo perde la propria dignità. I proletari, “dopo aver piegato i padroni”, diventano loro stessi padroni, opprimendo i nuovi proletari, “proletari di fame e di miseria, sparsi nei mondi suburbani”. “Ora siamo tutti servi di coloro che hanno sconfitto / la servitù”.
La grandezza acquista nuovi aspetti negativi, in un mondo in cui “il dolore è la consolazione d’una tolleranza senza protesta”, espressa tramite il rapporto “grandezza finita contro grandezza infinita”.
Il mondo intero sembra perciò, dominato dalla “violenza contro violenza, possesso contro possesso”, e dal male e dalla cattiveria: “Chi ha un tetto, non vuole che l’ altro ce l’ abbia / dare un pezzo di pane è peccato, è dare forza / all’infelicità”.
Viviamo dunque, in un mondo in cui “nasce la conflagrazione / cosmica... la luce e le tenebre assurgono a simbolo / di vita e di morte, di potere e di antipotere”.
Lo sguardo smarrito dell’uomo moderno si alza verso la speranza del Cielo e si perde negli spazi astrali: “Un cielo di morte / s’ apre a noi viventi... la luce, matrice cosmica, dissolve rami / di luce... segni astrali si colmano”.
Il motivo fondamentale del racconto sembra però, essere la lotta dell’uomo per ottenere la giovinezza eterna, tentativo fallito. In realtà, si tratta dell’umano desiderio di conservare, lungo la vita, i valori fondamentali della giovane età: la freschezza del corpo, della mente e dell’anima, la serenità, “l’amore all’ombra dei tigli”, la speranza, perché “l’eternità è un sogno, / un pallido sogno di evolute menti”.
“L’immortalità è sogno dell’uomo, la conquista / dell’eternità è non perdere la memoria del tempo, / avvicinarsi a Dio, conquistare la felicità”.
Specchio della realtà contemporanea, vista tramite i riflessi dei più remoti tempi, il racconto è una critica acerba che ci insegna pure a lottare con il male per accogliere “un’alba che apre spiragli di speranza”.
Marilena Rodica Chiretu
[1] Tale opera è stata edita a Castiglione di Sicilia da Eigraf Marconi.
[2] ANGELO MANITTA, Verzella e le sue contrade, Catania, Il terzo Millennio, 1991.
[3] Cfr. GABRIELLA REINA, Verzella, rocce e verde a ridosso dell’Alcantara, in «La Voce dell’Jonio», A. XXXV, N. 3, 26 Gennaio 1992.
[4] Cfr. : ALBERTO GIMMA, Successo sicuro per il Primo festival della Poesia Europea di Taormina, in «GSA – Master News” (Gazzetta della Stampa A diffusione mirata), Milano, A. XV, NN. 11-12, Giugno 2001.
[5] ANGELO MANITTA, Lettera ad Orazio, in «Caro Piero», Padova 1994.
[6] Cfr.: MICHELE LA ROSA, Castiglione, ormai è crisi – la maggioranza si sgretola, in «Gazzetta del Sud», A. XLIII, 25 Settembre 1994, p. 5; MICHELE LA ROSA, Vento di crisi. Va a rotoli il Consiglio di Castiglione, in «La Sicilia», 25 Settembre 1994, p. 19.
[7] ANGELO MANITTA, Donne in punta di piedi, Riposto (Catania), Circolo Socio-Culturale “Il Faro”, 1995.
[8] Cfr. LUIGI ROLANDO, Angelo Manitta. Donne in punta di piedi, in «La Nuova Tribuna Letteraria», N. 41, Gennaio – Marzo 1996.
Tra gli altri articoli e recensioni dedicati a quest’opera manittiana: GIROLAMO BARLETTA, Donne in punta di piedi, in «La Tribuna di Giarre», 2 Dicembre 1995; ANGELO MESSINA, Le nostre pubblicazioni. Donne in punta di piedi di Angelo Manitta, in «Il Faro», A. I, N. 2, Aprile – Giugno 1996, p. 1; ENZA CONTI, Scrittore in vetrina, in «Gazzettino di Giarre», 14 Giugno 1996, p. 8 (in questo articolo si parla sia di Donne in punta di piedi sia di Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano); ISABELLA MICHELA AFFINITO, Donne in punta di piedi, in «Il Grillo», A. XIX, N. 5, Settembre – Ottobre 2002.
[9] ANGELO MANITTA, Donne in punta di piedi, op. cit., pp. 7-9.
[10] CLELIA ROL, “Donne in punta di piedi” di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», A. V, N. 1, Gennaio – Febbraio 1996, p. 1.
[11] STEFANO VALENTINI (a cura di), Laboratorio Letterario 1995 – 1996, Montemerlo (Padova), Venilia Editrice, 1996.
[12] STEFANO VALENTINI (a cura di), Laboratorio Letterario 1997 – 1998, Montemerlo (Padova), Venilia Editrice, 1998. La poesia Filosofemi era già stata inserita ne “La Nuova Tribuna Letteraria» di Ottobre – Dicembre 1997.
[13] ANGELO MANITTA, Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano, Messina, edizioni culturali “Il Peloritano”, 1996, opera illustrata sia con fotografie in bianco e nero sia con fotografie a colori. Le fonti utilizzate vengono puntualmente citate in abbondanti note a piè di pagina, ma sin dalla premessa l’autore si dichiara contrario a inutili nozioni che appesantirebbero il testo, il quale rimane di agile lettura.
[14] Ibidem, pp. 97-102.
[15] Ibidem, pp. 59-84.
[16] Ibidem, p. 115.
[17] Tra gli articoli dedicati a questo saggio manittiano ricordiamo: SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Presentata nel Salone del Carmine di Castiglione di Sicilia l’ultima interessante pubblicazione di Angelo Manitta. Santa Maria della Catena: tre secoli e mezzo di storia e fede popolare, in «Noi dell’Alcantara», luglio-agosto 1996, p. 9; GIROLAMO BARLETTA, Un volume di Angelo Manitta tra storia e leggenda. Il Santuario di Santa Maria della Catena, in «Gazzettino di Giarre», 27 Settembre 1996, p. 3; GIROLAMO BARLETTA, Un prezioso volume di Angelo Manitta. Santa Maria della Catena a Castiglione di Sicilia, in «La Tribuna di Giarre», 28 Settembre 1996.
[18] ANGELO MANITTA, Come una favola, Catania, Edizioni Greco, 1997.
[19] Ibidem, pp. 5-7.
[20] Alcuni esempi: RODOLFO AMODEO, Un’opera di narrativa per le scuole dello storico e scrittore etneo. Le fiabe metropolitane di Angelo Manitta, in «il Peloritano», Maggio 1997; ENZA CONTI, Le favole ecologiche di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», Marzo – Giugno 1998, p. 3; Francavilla, «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 14 Febbraio 1998, p. 23; Francavilla, «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 15 Febbraio 1998, p. 21; GIROLAMO BARLETTA, «Come una favola» di Angelo Manitta, in «Gazzettino di Giarre», N. 14, 11 Aprile 1997, p. 3; PIERLUIGI AMBROSINI, Angelo Manitta. Come una favola, in «La Nuova Tribuna Letteraria», Gennaio – Marzo 1998; S. P., Francavilla, incontro su ecologia e poesia, in «Gazzetta del Sud» (Messina e Provincia), 13 Febbraio 1998; ENZA CONTI, Randazzo: Iniziativa dell’associazione Randart. «Come una favola», in «Gazzettino di Giarre», N. 16, 24 Aprile 1998, p. 3; NICOLA SCUDERI, Francavilla, un incontro su «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 18 Febbraio 1998, p. 22.
[21] ANGELO MANITTA, La ragazza di Mizpa, Casalmorena (Roma), Emmeffe Editoriale Charta, 1998. L’opera, come altre di Angelo Manitta, è uscita a cura dell’Associazione Culturale “Il Convivio”. Per gli approfondimenti su questa silloge poetica rinvio alla relativa scheda di Marco Baiotto.
[22] Tra i tanti articoli, recensioni, note di lettura dedicati alla “ragazza di Mizpa” si ricordano: MICHELE LA ROSA, La donna cristiana ed islamica – legami e discrasie culturali tra due mondi tanto differenti, in «La Sicilia», 10 Marzo 1999, p. 25; PIETRO FRATANTARO, La ragazza di Mizpa, in «l’altro Giornale» ( “Messina – Cultura &… dintorni”), N. 1388, 2 Novembre 2002; ANNA MARIA FERRERO, Angelo Manitta. “La ragazza di Mizpa”, in «Talento», N. 43, Luglio – Settembre 1998; RINA DAL ZILIO, Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «Pomezia – Notizie», Agosto 1998, p. 34; NUCCIO DE MAINA, Angelo Manitta. La Ragazza di Mizpa, in «La Precollina», A. II, N. 7, Settembre 1998, p. 17; ANGELA BARBAGALLO, Angelo Manitta: «La ragazza di Mizpa», in «Gazzettino di Giarre», N. 39, 16 Ottobre 1998, p. 3; ENZA CONTI, Un autore di Castiglione di Sicilia particolarmente apprezzato in Veneto. “La ragazza di Mizpa” di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», A. IV, N. 7, Ottobre – Novembre 1998; GIUSEPPINA LUONGO BARTOLINI, Angelo Manitta, La ragazza di Mitza (sic!), in «Sìlarus», A. XXXIX, Novembre – Dicembre 1998; MAURO ROMANO, Giardini, versi di Manitta tra presente e passato, in «La Sicilia», 16 Gennaio 1999, p. 24; Stasera incontro culturale organizzato dalla Fidapa, in «Corriere del Mezzogiorno» (“Messina e Provincia”), 6 Marzo 1999; RO. AM., Conferenza alla Fidapa. Il poeta Angelo Manitta ha presentato una ‘silloge’, in «Corriere del Mezzogiorno» (“Messina e Provincia”), 9 Marzo 1999; Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «Punto di vista», A. VII, N. 23, Gennaio – Marzo 2000.
[23] SILVANO DEMARCHI, Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «La Nuova Tribuna Letteraria», Luglio – Settembre 1998.
[24] PINELLA MUSMECI, Nuova silloge di poesie dell’intellettuale castiglionese. «La ragazza di Mizpa» di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», Gennaio – Aprile 1999, p. 8. Lo stesso articolo è stato pubblicato anche in «Peloro 2000», Maggio – Giugno 1999, p. 18.
[25] ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Catania, Edizioni Greco, 1998.
[26] GRAZIANO GIUDETTI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Ed. Greco, Catania, in «Pomezia - Notizie», A. 7, Novembre 1999, p. 26.
[27] ELIO PICARDI, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, in «Omero», A. I, N. 6, Novembre – Dicembre 2001.
[28] Tra i tanti articoli più o meno estesi e le recensioni o note di lettura usciti per l’occasione ricordiamo: SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Libro su Leopardi, in «Gazzetta del Sud», 2 Gennaio 1999; ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi Pessimista ma… non troppo, in «Il Grillo», A. XVI, N. 5, Settembre – Ottobre 1999; GIUSEPPINA LUONGO BARTOLINI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi – Ed. Greco, Catania, 1998, in «Sìlarus», A. IXL, NN. 203-204, Maggio – Agosto 1999, p. 124; RINA DAL ZILIO, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma non troppo, in «Pomezia - Notizie», A. 7, Maggio 1999, p. 16; M. L. R., L’innovativa chiave di lettura del pessimismo, in «La Sicilia», 8 Gennaio 1999, p. 19; FILIPPA FARFAGLIA, Smentito il pessimismo leopardiano, in «Corriere del Mezzogiorno» (Messina e Provincia), 6 Gennaio 1999; Angelo Manitta. Giacomo Leopardi, pessimista ma… non troppo, in «Punto di Vista», A. VII, N. 23, Gennaio – Marzo 2000, p. 4; ANTONIA IZZI RUFO, Angelo Manitta: Giacomo Leopardi, pessimista ma… non troppo, in «Sentieri Molisani», A. III, N. 2, Maggio – Agosto 2003; Angelo Manitta, Giacomo Leopardi, Edizioni Greco, in «Fiorisce un cenacolo», A. LXII, N. 10 - 12, Ottobre – Dicembre 2001; compare anche un riferimento ad Angelo Manitta a p. 3 tra gli “Accademici di Paestum e Artisti Benemeriti”; Francavilla, libro su Leopardi, in «La Sicilia», 6 Gennaio 1999; TITO CAUCHI, Giacomo Leopardi un un’analisi metodologica di Angelo Manitta, in «Pomezia - Notizie», A. 9, N.S., N. 12, Dicembre 2001, pp. 15-18 (interessante saggio che si sofferma su: “Piano dell’opera”, “Funzioni nella poesia leopardiana”, “Adolescente leopardiano e fanciullino pascoliano”, “Pessimismo di Leopardi e filosofia di Schopenhauer”, “Sincretismo di Leopardi e fonti classiche”, “Vicende personali ed esagerazione dell’infelicità”, “Pessimismo da Silvia al Pastore”).
[29] CARMELO MUSUMARRA, Leopardi pessimista ma non troppo, in «Prospettive», 7 Marzo 1999.
[30] STEFANO VALENTINI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma non troppo, in «La Nuova Tribuna Letteraria», A. IX, N. 54, Aprile - Giugno 1999.
[31] ENZA CONTI, Francavilla / Leopardi poeta attuale, in «Gazzetta del Sud», 26 Gennaio 1999. Cfr. RO. AM., Un incontro organizzato da “Italia Nostra”. Leopardi a Francavilla pessimista ma non troppo, in «Corriere del Mezzogiorno» (Messina e Provincia), 3 Gennaio 1999.
[32] ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, op. cit., pp. 31-32.
[33] Ibidem, p. 32.
[34] Ibidem, pp. 32-33.
[35] SILVANA ANDRENACCI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Edizioni Greco, 1998, in «Pomezia - Notizie», A. 8, N.S., N. 10, Ottobre 2000, pp. 24-25.
[36] Ibidem, p. 25.
[37] ANNA MARIA FERRERO, Era proprio pessimista Leopardi?, in «Talento», N. 48, Ottobre-Dicembre 1999, pp. 25-27.
[38] Ibidem, p. 25.
[39] Ibidem, p. 27.
[40] All’argomento l’autore ha dedicato circa una decina d’anni di studi. Le fonti più importanti, oltre che nella Biblioteca Ursino Recupero e in quella Universitaria di Catania, sono state rinvenute nella Biblioteca Villadicanense di Castiglione di Sicilia e nella Biblioteca Marciana di Venezia. Nel 1998, per i tipi dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, era stata stampata una prima breve versione del saggio in questione.
[41] Nell’ambito dei concorsi banditi dall’Accademia “Il Convivio” va annoverato il Premio Internazionale “Antonio Filoteo Omodei – Giulio Filoteo di Amadeo”.
[42] I due Filoteo erano comunque parenti.
[43] La Premessa del saggio reca la firma di Enza Conti, le cui considerazioni sono state riprese dalla medesima autrice nella recensione pubblicata su «Pomezia-Notizie», A. 9 (N.S.), N. 8, Agosto 2001, p. 35. Enza Conti, nell’Appendice antologica, ha curato la scelta dei brani, nonché le note.
[44] Non a caso Oltre la siepe è anche il titolo di un’antologia di premi banditi dal “Convivio”.
[45] Cfr. «Literatura», A. X, N. 20, Aprile 2001. Orizzonte ne La ragazza di Mizpa è pubblicata a p. 27.
[46] ANGELO MANITTA, Dei, eroi e isole perdute, Milano, Mursia (Gruppo Elemond Scuola), 2001.
[47] ENZA CONTI, Gaggi / A scuola tra miti e leggende, in «Gazzetta del Sud», 24 Marzo 2001.
[48] DOMENICO DEFELICE, Angelo Manitta. Dei, eroi e isole perdute, in «Pomezia - Notizie», A. 9, N.S., N. 9, Settembre 2001, p. 29. Cfr. «Pomezia - Notizie», A. 9, N.S., N. 5, Maggio 2001, p. 43.
[49] DOMENICO GRILLONE, Premi consegnati nella parrocchia di San Leo. La pace vista dai bambini, in «Gazzetta del Sud», 26 Aprile 2002. Furono coinvolti i bambini delle scuole elementari di Saracinello e Bocale e quelli delle frazioni di Lume, S. Leo e Occhio di Pellaro e gli studenti della scuola media “Spanò Bolani” di Reggio.
[50] Cfr. «La Urpila» (“publicacion poetica”), Luglio – Dicembre 2002, p. 67.
[51] Cfr. «Alhucema» (“Revista de teatro y literatura”), N. 7, Gennaio – Giugno 2002.
[52] Cfr. «Le Muse», A. I, Dicembre 2002. Ne La ragazza di Mizpa la lirica Sete di morte compare a p. 25.
[53] A p. 34 del testo di Alfredo Varriale. A p. 35 è pubblicata la poesia Sete di morte in italiano e nella traduzione inglese.
[54] Cfr. Giarre. La produzione letteraria di Angelo Manitta, in «La Sicilia» (Catania), 15 Febbraio 2003. Maria Enza Giannetto è stata allieva di Angelo Manitta.
[55] Per i tipi della casa editrice Mursia di Milano.
[56] E. D., Il bergamotto in versi, in «Gazzetta del Sud» (Cronaca di Reggio), 9 Dicembre 2003, p. 24.
[57] Luminosa primavera, ne La ragazza di Mizpa, si trova a p. 40.
[58] La poesia Lasciami dire, con la relativa traduzione in inglese, è inserita a p. 32. Ne La ragazza di Mizpa, invece, compare a p. 34.
[59] Tale giudizio critico di Pacifico Topa è inserito a p. 31.
[60] Contemporaneamente, nella medesima cerimonia di premiazione, il figlio Giuseppe compare tra i nuovi iscritti come accademici associati, mentre Enza Conti riceve la Targa di “Dama Accademica” dalla Madrina Signora Raffaella Frasca Torchi. Cfr. Accademia Internazionale di Lettere Scienze e Arti “Contea di Modica” – Inaugurazione Ufficiale del 20° Anno Accademico – 6 gennaio 1984 – 6 gennaio 2004, in «Immagine», A. VI, N. 1, Gennaio 2004, pp. 6-8.
[61] Per i tipi di Documenta Edizioni.
[62] Il relativo documento è riportato a p. 112.
[63] Cfr. «La Sicilia», 15 Marzo 1997 e «Gazzetta del Sud», 14 Marzo 1997: il mito del pastorello Aci e della ninfa Galatea è stato collocato dagli studiosi lungo la costa ionico-etnea, tra Catania e Giarre. Secondo Angelo Manitta, con una tesi innovatrice, nella Valle dell’Alcantara. Articoli interessanti sull’argomento: NICOLA SCUDERI, L’Alcantara è la «culla» del mito di Aci e Galatea?, in «La Sicilia» (“Messina cronache”), 19 Marzo 1997, p. 21; RODOLFO AMODEO, Aci, il pastore da cui nacque Acireale sarebbe originario dell’Alcantara, in «La Gazzetta Jonica» (“Cronaca dell’Alcantara”), 21 Marzo 1997, p. 4; SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, L’Alcantara è il mitico Aci, in «Gazzetta del Sud», 21 Marzo 1997; Incontro di “Italia Nostra” nella sala consiliare di Francavilla. L’ultima eruzione dell’Etna in diapositive, in «Gazzetta del Sud», 3 Aprile 1999; Il mito del fiume Aci, in «La Sicilia», 7 Aprile 1998, p. 21; SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Aci e Galatea nella Valle dell’Alcantara, in «Gazzettino di Giarre», N. 12, 28 Marzo 1997, p. 3.
[64] Tra gli articoli apparsi sui giornali:; ENZA CONTI, Castiglione di Sicilia: conferenza inaugurale della nuova associazione«SiciliAntica». Preistoria e protostoria nella Valle dell’Alcantara, in «Noi dell’Alcantara», Gennaio – Febbraio 1998, p. 5; MARCELLO PROIETTO, Una sede di SicliAntica nel cuore della Valle dell’Alcantara, in «Gazzetta del Sud», 7 Gennaio 1998; Conferenza sulla Preistoria nella valle dell’Alcantara, in «SiciliAntica», A. I, N. 0, Marzo – Aprile 1999; ENZA CONTI, SiciliAntica apre anche a Castiglione, in «Gazzettino di Giarre», N. 49, 31 Dicembre 1997, p. 4. Angelo Manitta è intervenuto anche nel dibattito sulla città di Tissa; cfr.: ENZA CONTI, Malvagna / Libro di Antonino Portaro sulla storia della Valle dell’Alcantara. Alla ricerca della leggendaria città di Tissa, in «Gazzetta del Sud», 8 Agosto 1999.
[65] Cfr.: ENZA CONTI, Francavilla / Ricordo del poeta Antonino Di Marco, in «Gazzetta del Sud», 7 Gennaio 2001; RO. AM., Commemorato il poeta Di Marco, in «Corriere del Sud», 7 Gennaio 2001; ENZA CONTI, Poesia francavillese, in «Gazzetta del Sud», 4 Gennaio 2001. A conferma della vastità di interessi di Angelo Manitta e dell’impegno da lui profuso in molteplici direzioni, rammentiamo qui pure l’uscita di un altro articolo nel mese di gennaio del 2001: ENZA CONTI, Rievocazioni e preghiere nella chiesa restaurata, in «La Sicilia», 12 Gennaio 2001, p. 25. La Chiesa restaurata è quella di S. Antonio Abate di Castiglione e, come osserva Enza Conti, “Alla cerimonia è intervenuto anche il prof. Angelo Manitta, il quale ha fermato la sua attenzione, attraverso un excursus storico ed iconografico nell’importanza artistica che riveste la chiesa, non solo per i castiglionesi ma per l’intera comunità isolana, evidenziando soprattutto la preziosità dei mosaici che assieme alle tele armonizzano e arricchiscono in modo globale la navata principale».
[66] Cfr.: Presentato “Vitti, Pinsau e Scrissi” del poeta Aristotele Cuffaro, in «L’eco del sud» - «Messina sera», 31 Gennaio 2004.
[67] Cfr. breve scheda sulla produzione letteraria complessiva di Placido Petino riportata in «Punto di vista», N. 41, Luglio – Settembre 2004, p. 222 (ripresa da «Il Convivio», Ottobre – Dicembre 2001).
[68] Cfr.: MARCELLO P. DI SILVESTRO, Quadri e paesaggi ammalianti per una mostra di successo, in «La Sicilia», 10 Agosto 2000; Francavilla, artisti a convegno, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 Febbraio 1998, p. 15.
[69] In tale pubblicazione la poesia tradotta da Manitta è inserita a p. 254.
[70] Fosforescenti pupille, ne La ragazza di Mizpa, è pubblicata a p. 14 e con righe bianche che dividono la lirica in quattro strofe, mentre nella rivista «Il potere di un verso» le righe vuote sono state cancellate.
[71] ANGELO MANITTA – GIUSEPPE MANITTA, A partire da Boccaccio… La novella italiana dal Duecento al Cinquecento, Milano, Mursia Scuola, 2005 (I edizione Invito alla lettura).
[72] ANGELO MANITTA, Gilgamesh e l’Antipotere. Microscopium – Microscopio (da Big Bang), Castiglione di Sicilia, I Quaderni del Convivio, 2005.
[73] Ibidem, pp. 3-4.
[74] Ibidem, p. 12. Per gli approfondimenti su quest’opera manittiana rinvio alla relativa scheda di Marco Baiotto e quella di Marilena Rodica Chiretu.